Lei, Marzia Capotorti, la protagonista, durante il funerale del proprio padre realizza di desiderare una morta ridicola e quella vita che lei tanto vuole tenere sotto controllo sembra volerla accontentare, infatti mentre tenta di attirare l’attenzione di una persona di cui è – suo malgrado – innamorata, resta vittima di un incidente all’apparenza banale, ma solo all’apparenza perché la fa cadere in coma. Una sorta di coma vigile che le consente di ascoltare tutto ciò che la gente dice quando entra nella sua stanza di ospedale. Ed ecco un carosello di situazioni e di confessioni che la protagonista commenta nella propria mente, ma che la fanno anche riflettere sul suo stile di vita; fino ad allora lei ha vissuto secondo regole ferree autoimposte (ma non si pensi che sia una santarellina, tutt’altro) per controbattere quelle, giudicate troppo perbeniste e bigotte, che la madre ha tentato di inculcarle, ma durante il coma ha tutto il tempo per rivedere alcuni suoi convincimenti, per rafforzarne altri e per mollare alcuni freni.
Marzia si è innamorata suo malgrado proprio di una persona che non rientra nei parametri che si è autoinflitta, ecco un esempio di come la vita si beffa di lei.
Uno stile piacevole, e un linguaggio a tratti forte, fanno scorrere – e non a caso - le pagine chiare e limpide come immagini di un film e riescono perfettamente a descrivere il meccanismo, preciso come un orologio, con il quale Marzia tenta di sezionare, esaminare, osservare e giudicare la vita da dietro il bancone del locale in cui lavora come bartender prima di finire all’ospedale; un locale in cui è capitata per caso ma che è diventato il suo universo, in cui associare a ogni persona che attira nel bene o nel male la sua attenzione (non a tutte) un preciso cocktail, talvolta diverso da quello che effettivamente il cliente ordina.
L’autrice riesce per mezzo di Marzia ad analizzare comportamenti, manie, abitudini e riti in maniera a dir poco stupefacente; ci sbatte in faccia meschinità e vizi ai quali, purtroppo, abbiamo fatto l’abitudine dimenticandone la componente deteriore. Marzia fa ridere il lettore mentre, seria, fa la radiografia all’umanità ed esprime il suo apprezzamento per il Diavolo (con l’iniziale maiuscola e qui traspare anche un riferimento all'opera di Bulgakov), che vorrebbe avere – se esistesse, ma visto che non crede in Dio, non crede nemmeno nel Diavolo - come amichetto immaginario.
Il finale, com’era da immaginarsi è spiazzante, anche perché si deve parlare di finali: due colpi di scena, o forse anche di più, che concludono il suo viaggio. Un libro che non si riesce a chiudere prima della fine, in cui ogni considerazione spiazza e sazia il lettore.