Sono un asinello praticamente in tutto, ma quel poco che so lo so bene e ammetto che tra tutte le opere esposte, quella dedicata a Kafka ha suscitato in me un impulso criminale: Adesso la rubo ed esco facendo finta di niente. Solo che c’era troppa gente.
Ritengo quell’opera geniale.
La massa (intesa come gente abituata alla mediocrità, non come la famosa maestra alessandrina che spera che alcune persone muoiano – anzi crepino – affogate durante le alluvioni) avrebbe associato Kafka all’insetto descritto nella Metamorfosi, ma sfido chiunque non solo a trovare un nesso tra quell’autore e le donne, ma anche a rappresentarlo graficamente. La sfida l’ha vinta Salvatore Palita, che ha rappresentato Kafka circondato da due minuscoli scarafaggi, accanto a una donna nuda con in mano solo uno specchio. I due scarafaggi sono posti, rispettivamente, uno tra Kafka e la donna e uno sopra Kafka stesso.
Le voci sulla visione che lui aveva delle donne si sono moltiplicate a dismisura, qualcuno ha addirittura affermato che era fondamentalmente omosessuale (senza che lui lo sapesse), ma in realtà il suo problema (se così vogliamo chiamarlo) era costituito dall’eterna inconciliabilità tra idea e realtà. Idea e realtà che si perseguitano nel vano tentativo di giustificarsi a vicenda e di fare espiare una colpa: l’essere nati, come in una sorta di incancellabile peccato originale. L’idea, la vita, la colpa da espiare, la bestia, il peccato originale e la donna; donna che Salvatore Palita ha rappresentato come Kalfka la vedeva. Quello scarafaggio inserito tra lui e la donna rappresenta la metamorfosi dell’idea, così come lo specchio è lo strumento che rimanda all’idea – magari fantastica e anche un po’ miope –, ché sovente in esso vediamo un po’ ciò che ci pare. Kafka aborriva la carnalità e la stessa corporeità, relegandole al solo concetto ideale, che poi, però, si sgretolava contro la realtà.
L’autore stesso descrive in modo raccapricciante i difetti fisici della sua fidanzata Felice Bauer: la brutta dentatura con i denti incapsulati in vista, il volto spigoloso e ossuto, il generico aspetto insignificante. Nonostante ciò se ne innamora. Lo specchio che Palita ha messo in mano a quella donna è il corrispondente dello scarafaggio e costituisce uno dei tanti contrappesi che non facevano sbilanciare il rapporto tra i due. Almeno non troppo.
La donna – anche se descritta in maniera poco carina, diremmo oggi –, agli occhi di Kafka era felice anche grazie al solo specchio in cui si rimirava, conscia che tra lei e il suo amato c’erano sempre e comunque due scarafaggi: idea e trasmigrazione dell’idea, che portavano, però sempre a lei.
La complessità di tale rapporto è stata risolta da Salvatore in quest’opera iconografica con un colpo da maestro, realizzato con semplice acrilico su carta e alcuni inserti a effetto collage.
Spero che la posterà in rete, voglio almeno salvarla sul computer.