In circa centoquaranta pagine, Carriero è riuscito a descrivere l'ineluttabilità, ma non letale – e quindi è inutile lamentarsi troppo – del karma e a spernacchiare il mistero della nemesi che, vai a capire perché e con quale metodo, dobbiamo sopportare. E in quale zona d’Italia si può imparare a vivere, a “tirare a campa’”, se non a Napoli con tutta la Campania attorno?
L’autore ci racconta con uno stile lieve, ironico e incisivo le avventure, o disavventure a seconda di come le vogliamo intendere, ma comunque sempre tragicomiche, di un povero ragazzo – che io chiamerei povero Cristo, visto il calvario che deve sopportare – che si sforza di mantenersi retto e onesto, di pagare le tasse a prescindere e di donarsi, mantenendosi fedele, ai propri affetti. Ma ciò non è facile se si ragiona con i mezzi che ci sono stati messi a disposizione dalla natura.
«Vorrei, voce del verbo volere ma non posso», viene precisato a pagina 131. E purtroppo è sempre così.
Il povero Cristo durante una giornata che sembra iniziare con un normale caos, viene catapultato in un viaggio di ordinaria follia metropolitana, durante il quale riesce a capire – ma non a dominare – chi e con quale metodo tira i fili di questa esistenza stravagante che ci è stata assegnata. Ovviamente, chi vuole saperlo deve leggersi il libro, posso solo dire che a pagina 118 questa entità viene definita “la brutta copia della Madonna dell’Arco”, assistita da due banchieri che si nutrono di carne umana, sempre affamati, bulimici, praticamente insaziabili. Per ciò che riguarda il metodo adottato dall'entità è presto detto: a casaccio. Essa tira a sorte un numero associato a una persona e a seconda del capriccio o della necessità del momento, le affibbia il destino, anche per interposta persona. E la sorte, in un mondo in cui anche il lotto gioca un ruolo non indifferente, non poteva rimanere trascurata.
Durante questo viaggio allucinante, il povero Cristo è accompagnato da Miss Capitone, un transessuale che, invece, ha ben capito come porsi nei confronti della nemesi e come attutirne gli effetti nefasti; un viaggio, quello intrapreso dalla strana coppia, in cui la fortuna prima si manifesta sotto le forme più disparate, poi quanto al momento meno opportuno sguscia via, indice di un complesso sistema di contrappesi che nessuno è ancora riuscito a comprendere ma che – è chiaro – viene manovrato dall’entità/brutta copia della Madonna dell’Arco assieme ai suoi scagnozzi.
Queste pagine sono esse stesse odori, colori e suoni e ciò significa che l’autore, con la sua penna all’apparenza scanzonata e onirica, ha fatto centro.
Ma a mio giudizio le frasi che riassumono la filosofia del mondo descritto in quest’opera sono due: la prima è l’affermazione dell’autore che, dopo avere superato ogni tipo di sciagura, di sfiga e di disavventura, quando chiunque sarebbe stato sull’orlo del suicidio, dice a pagina 128 di essere: “quasi distrutto moralmente”; la seconda è a pagina 88: “Se c’era una cosa che mi faceva incazzare era la gente che si lamentava sempre”. Mai disperarsi, infatti, anche nei momenti più neri. Mai farsi sovrastare.
Un libro pieno di riferimenti simbolici, senza sbavature, un pulp napoletano pieno di sangue e di ogni altro liquido organico che ci mettono il dubbio (laico?) su come considerare la felicità, ma ci garantiscono che c'è sempre, un gancio per salvarsi e per rivedere le nostre idee.