
La storia si dipana nei primi anni ’90, tra Tirana e Brindisi. Siamo agli albori di ciò che si è rivelato – dopo essersi allargato a molte altre zone del sud Europa, per ragioni differenti ma accomunate dalla stessa gravità – un fenomeno di proporzioni gigantesche e di difficile gestione: il cosiddetto problema dei migranti.
L’autrice ci racconta ciò che successe quasi ab origine, quando ancora i flussi non erano in mano a persone senza scrupoli e tutto era, come dire, ancora “sano”, ossia di come tre giovani amici, Samir, Malèn e Artan, decisero di fuggire dall'oppressione di un governo tiranno in cerca di un futuro migliore. Purtroppo, non tutti riuscirono a partire, ma dopo un viaggio rocambolesco, chi riuscì ad arrivare trovò un'accoglienza sana e costruttiva, degnamente ricambiata dai – che brutto termine, però – profughi.
Dove e quando c’è stata la stortura che ha aggiunto ai grandi flussi migratori anche il “(dis)valore” della speculazione e dell'arricchimento indebito, se i primi viaggi della speranza erano fondati sulla sana e consapevole volontà di ricostruirsi una vita altrove senza dover sottostare a biechi personaggi, che, davvero, non si riesce a capire come possano rimanere sempre impuniti? A dire il vero, un personaggio poco limpido appare anche in queste pagine, ma la sua presenza sembra più che altro un elemento di costume, fisiologico, peraltro prontamente smascherato. Una sorta di cane sciolto che nulla ha a che vedere con gli squali odierni.
La storia ha una componente biografica, ciò è sinonimo di garanzia: nessuna piaggeria, nessun intento di voler commuovere a tutti i costi o di captatio benevolentiae.
Durante la lettura non possiamo fare a meno di interrogarci, ancora una volta, sui rapporti anche di natura sociologica che intercorrono tra il concetto di confine, quello di di obbedienza e quello di vita dignitosa.
Da tutto ciò, si evince che, al contrario di altre pubblicazioni, più passa il tempo e più Vento da est acquista valore, fino a diventare un caposaldo cui fare riferimento quando si tenta di affrontare l’argomento “migrazione”.
I personaggi sono ben delineati e, nel caso dei profughi, è stata messa in risalto, senza indugi o sbavature, la loro pervicace volontà di riscatto, volontà che si rafforza una volta preso atto del tenore di vita condotto in Italia.
Una narrazione equilibrata, senza velleità autoreferenziali e per questo preziosa e meritevole di essere portata soprattutto in giro per gli istituti scolastici.